PORTAFOGLI CAUTI Meno Stati Uniti e più diversificazione. È questo il suggerimento agli investitori di Marco Galli di Mg Advisory. 10% di Treasury Galli conviene che i Treasury siano da sempre una componente fondamentale del portafoglio obbligazionario, perché considerati dei beni rifugio, in virtù del merito di credito degli Stati Uniti. Tuttavia, i recenti annunci dell’amministrazione Usa in tema di bilancio federale e di politica commerciale intaccano la loro credibilità internazionale e si teme che possano alimentare l’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse e rendere difficile il finanziamento del debito pubblico. In aggiunta, l’approccio di confronto, piuttosto che di cooperazione con gli altri Paesi aggiunge confusione. «Considerando - afferma Galli - che in un’ottica di portafoglio la componente obbligazionaria ha principalmente la funzione di stabilizzazione, nel contesto attuale limiterei il peso dei Treasury al 10% massimo e prediligerei duration ridotte (1-3 anni), a favore di strumenti meno volatili e più adatti a svolgere tale funzione». Meno tech e più utility Per la parte azionaria del portafoglio, il suggerimento di Galli per affrontare uno scenario ignoto è la diversificazione: «Ridurrei la concentrazione nelle azioni Usa, mantenendole al 40-45% del portafoglio (rispetto al 71% dell’indice Msci World). Contestualmente, aumenterei l’esposizione verso l’Europa e i Paesi emergenti, che hanno valutazioni più interessanti». Un rallentamento economico penalizzerebbe soprattutto i titoli con valutazioni che sono giustificate se la crescita degli utili resta robusta e continua. «Diminuirei - continua Galli - il peso di questi titoli e, in generale, dei settori più vulnerabili ai dazi e alle tensioni commerciali, come consumi discrezionali, auto, lusso, tecnologia ad alta valutazione. Privilegerei, invece, settori più difensivi, come beni di consumo di prima necessità, infrastrutture e utility, in particolare le società con profitti e flussi di cassa significativi e stabili». I tempi del dollaro La scelta di esporsi alle oscillazioni del dollaro dipende dagli obiettivi e dai tempi dell’investimento: «In un’ottica di lungo periodo - conclude Galli - la debolezza del dollaro può non essere un problema. Se l’investimento in dollari deve finanziare una spesa futura in una divisa diversa è opportuno coprire il rischio di cambio, per garantirsi la copertura, sempre valutando l’onere. Se, invece, l’investimento è inserito in un portafoglio con obiettivo di crescita nel lungo periodo, la copertura del rischio di cambio non è necessaria, alla luce delle fluttuazioni del cambio nel lungo periodo e del costo dell’operazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Oltre Wall Street verso Euro ed Emergenti
